"Era costui il giovane
principe Andrej Bolkonskij, marito della piccola principessina. Il principe
Bolkonskij era un giovane di non alta statura, ma assai bello, d'aspetto
elegante e armonioso, i lineamenti fini e marcati."
Guerra e Pace di Lev Tolstoj è un
romanzo che fa male. Non come I Miserabili, ma comunque nemmeno in Russia ci
vanno tanto per il sottile.
La sofferenza ha un nome: Andrej
Bolkonskij, il principe triste, insoddisfatto, in cerca di un qualcosa che dia
un senso alla sua vita. Che incontra l'amore e lo perde. Che impara il perdono troppo tardi. Ecco lui è decisamente stato uno dei miei più
giganteschi colpi di testa. E sofferto. Tanto sofferto.

La
sorella Marja è probabilmente l'unica fonte di gioia famigliare, tra una
preghiera e l'altra però, perché, ahimé, nemmeno la moglie Lise è capace di arrivare
al cuore di Andrej, ben nascosto sotto una dura corazza.
Andarsene via, scappare dalla
società, da un matrimonio che gli sta stretto, perseguire la gloria militare:
Andrej lo conosciamo al suo peggio. Non si fa amare per niente, anzi.
E'
insofferente, scocciato, sembra di vederlo mentre guarda gli invitati ai
ricevimenti con aria di sufficienza. Pure sbruffando che fa tanto ragazzino a
lezione di una materia che odia.
E' solamente da Pierre, quasi conte Bezuchov, che
si fa avvicinare, è solo con Pierre che parla, si confida, da sfogo alla sua
irrequietezza.
Io di Andrej mi sono innamorata da subito, è stata una simpatia istintiva.
E' certamente insopportabile la sua spocchia, il suo credersi superiore a tutto e
tutti. O forse è un'impressione iniziale.
Andrej in realtà fa qualcosa che nessuno nei
salotti si sarebbe mai permesso di fare: semplicemente non mette nessuna maschera di
finta cortesia. Disgusto e noia per gli altri e i loro discorsi vuoti li ha scritti in fronte e li porta con fierezza. Hai capito Andrej? E' uno che non teme il confronto.
Mi resta sempre di capire perché si sia sposato con una come Lise, l'esatto
opposto di lui, carina e coccolosa, amante dei ricevimenti e delle
chiacchiere mondane. Barbie in versione alta società russa, per intenderci.
E infatti pure con lei non è che sia tutto questo
pozzo di dolcezza e carineria. Anzi.

"Pierre aveva ragione
dicendomi che per essere felici bisogna credere anzitutto nella possibilità di
esserlo: io adesso ci credo. Lasciamo che i morti seppelliscano i morti, ma fin
quando si è vivi, bisogna vivere ed essere felici"
L'incontro con Pierre è
rivelatore: c'è questo momento bellissimo in cui Andrej scende dalla carrozza e
guarda l'orizzonte, il momento in cui esprime la volontà di voler anche lui
imparare a crederci, che bisogna vivere e amare, ecco, pare quasi di starci, al
suo fianco, in riva al fiume, illuminati dal tramonto, a dirgli pure noi
di lasciarsi la tristezza alle spalle. Il mondo non finisce a trent'anni, Andrej. Vivi.
"Non basta che io sappia
tutto quello che passa dentro di me; bisogna che lo sappiano anche gli altri:
Pierre, e quella fanciulla che voleva volare verso il cielo; bisogna che tutti
mi conoscano, che la mia vita non scorra per me soltanto, che essi non vivano
così fuori della mia vita, che la mia vita si rifletta in tutti e che tutti
vivano insieme con me!".
Andrej svolta completamente, scapoccia, quando
incontra Natasha, quando la sente esprimere il desiderio di spiccare il volo
verso quella luna meravigliosa che fa da testimone alla nascita del loro
amore.
"Da un pezzo ti
aspettavo", sembra dire quella fanciulla spaventata e felice con quel suo
sorriso che si faceva strada tra le lacrime ormai pronte a sgorgare, e sollevò
la mano per posarla sulla spalla del principe Andrej.
Ho sognato di poter essere
Natasha durante il ballo, di essere guardata come lei, di trovare qualcuno che
pensi che il mondo intero si divida in due parti e una una delle due sia io,
ovvero la felicità, la speranza, la luce.
Andrej vola già sulle ali
dell'amore e pensa il famoso "se si avvicina prima a sua cugina e poi
all'altra dama la sposo". E poi arriva Anatol' Kuragin.

E fu così infatti che a Borodino Andrej
si beccò un po' di fuoco nemico.
Poi, siccome che Tolstoj non ha
giocato abbastanza con il mio cuore, non lo fa crepare subito ponendo fine alle
mie sofferenze, alle vostre e a quelle di Andrej, no: succede che sulla barella, esausto ma tranquillo, con un
senso di beatitudine che da tempo non provava, immerso nei suoi ricordi
d'infanzia, Andrej incontri l'uomo che gli ha fatto più male: Anatol' Kuragin, l'infame, anche lui in punto di morte, con una gamba amputata (c'è giustizia divina a quanto pare).
Andrej, che fino al giorno prima
lo malediceva mentalmente e pure gestualmente spero, qua si rende conto di come Anatol' si trovi
nella sua stessa situazione e, forte delle lezioni impartitogli dalla sorella,
lo perdona. Esatto, lo perdona.
Io avrei recuperato le ultime
forze e l'avrei comunque saccagnato di legnate e invece lui allunga la mano al
suo nemico. Fiume di lacrime, abbracci consolatori e chili di Nutella.

"E mio padre? Mio padre! Mio
padre! Si, farò delle cose di cui anche lui sarà contento."
Finisce così Guerra e Pace.
Finisce con Nikolen'ka che pensa a suo padre. Finisce con me che piango
disperata perché l'immagine di questo ragazzo che guarda con ammirazione al
padre che ha conosciuto per troppo poco tempo è talmente perfetta che
cancella le 30 pagine precedenti piene di personaggi cambiati all'inverosimile,
imbruttiti e abbruttiti.
Finisce con il principe Andrej e l'indelebile ricordo che ha lasciato. Nel cuore di Nikolen'ka e nel nostro. Appena riesco a rimetterlo assieme, s'intende.